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02.08.2018
| Tempo di lettura: 9 min

Fatturazione Elettronica: nemico, amico o semplice conoscente?

Cerchiamo di interpretare il sentimento di ostilità o entusiasmo legato all’obbligo di Fatturazione Elettronica.

Ricordate le celebri strip di Bonvi aventi per protagonisti degli sfigatissimi soldati della Wermacht durante la seconda guerra mondiale, chiamati Sturmtruppen?

Io ricordo perfettamente una di quelle strip, nelle quali un povero soldato di guardia al mitico bidone di benzina vedeva avvicinarsi qualcuno e, come da regolamento, gli chiedeva, sfoderando il fucile d’ordinanza, “amici o nemici?”. Una voce gli rispondeva “Semplici conoscenti” e il soldato entrava nella crisi più profonda non essendo previsto nel regolamento una simile condizione.

Non voglio dire che le aziende italiane siano Sturmtruppen a guardia del bidone di benzina, ma certamente molte di loro stanno, con molta attenzione, a protezione dei propri sistemi informativi e dei propri processi contabili (costati lacrime, sangue e soldoni) e guardano all’arrivo della fatturazione elettronica come qualcosa che non si riesce bene a definire quale amico o nemico di quanto costruito finora. Forse il ruolo del semplice conoscente, al momento, è il più adatto.

Questo perché si sta cercando di capire, di conoscere, di interpretare e quindi di declinare in ostilità o entusiasmo il sentimento legato ad una valutazione più approfondita del fenomeno in questione.

Lo Stato italiano, pur parlandone da tempo, attraverso l’obbligo della PA prima e la facoltà del B2B dopo, ha calato la scure del B2B mandatorio con la finanziaria 2018 intorno a Natale, la pubblicazione delle regole tecniche a fine aprile e la partenza per alcune categorie il 1° luglio e per tutti il 1° gennaio 2019. Tempi stringenti che non hanno certo aiutato ad incrementare le file degli ottimisti, aumentando invece quelle degli infelici (vedi benzinai con scioperi ventilati e proroga connessa).

 

Ma la fatturazione elettronica è davvero un nemico o è un amico dei processi aziendali?

Direi di provare a definire meglio questa linea di confine ad oggi posizionata, se va bene, sul semplice conoscente.

I processi di fatturazione ad oggi più diffusi nel nostro Paese sono quelli tradizionali, basati prevalentemente sulla carta e, nei tempi più recenti, sulla rivoluzione copernicana (!) del PDF inviato via mail.

Per la precisione i 5 milioni di partite IVA nostrane si scambiano circa un miliardo e mezzo di fatture al 95% in questa maniera (un miliardo e quattrocentoventi milioni), mentre il 2% è già in regime obbligatorio di fatturazione elettronica verso la PA (trenta milioni) e il restante 3% è in EDI volontario, ossia scambio strutturato tra aziende in formati standard (cinquanta milioni).

Inviare carta o PDF via mail, può essere considerato un processo “amico”? Se per amicizia intendiamo qualcuno che frequentiamo da tanto tempo e conosciamo a memoria, nei suoi pregi e nei suoi difetti, sicuramente sì. Ma un amico è, in fondo, qualcuno che ti fa stare bene quando lo frequenti e alza decisamente il tono del tuo umore. Alzino la mano quanti stanno veramente bene e si sentono efficaci e competitivi stampando migliaia di pagine all’anno, imbustandole e spedendole via posta, senza neppure la certezza del recapito o creando PDF e da inviare via mail, sperando poi di non ricevere risposte automatiche (e poco simpatiche) da parte di server SMTP maleducati o, peggio ancora, il silenzio totale.

Ha senso che milioni di euro spesi per creare sistemi informativi di altissimo livello abbiano come ultimo miglio la postalizzazione cartacea o l’invio di mail che potrebbero tranquillamente finire in spam?

O ancora, ha senso ricevere quintali di carta o mail da sottoporre poi ad operazioni manuali -dai costi esorbitanti- in termini di tempo, energie e alienazione mentale per trasferire i dati sugli stessi costosissimi e iper-tecnologici sistemi informativi?

Su queste basi, forse, l’”amico” diventa meno tale.

Alla luce di queste considerazioni, chiediamoci invece se il nemico affrontato originariamente dalle aziende chiamate sp(i)ntaneamente ad aderire alle filiere EDI o obbligate per legge a fare fattura PA è veramente tale?

Un processo in grado di inviare un file strutturato, dove si sa esattamente in quali campi del tracciato trovare le informazioni da utilizzare tramite programmi alimentati direttamente, senza l’ausilio di operatori e senza l’alea di digitazioni errate e di sistemi di contabilità, impiegando un decimo del tempo e risparmiando dai 20 a 30 euro a fattura … è davvero un qualcosa di così ostile?

Se poi questo standard si allarga a macchia d’olio e diventa un patrimonio comune di tutta la nazione e poi addirittura di tutta la comunità europea, fino a coinvolgere il mondo intero, non siamo davanti ad una rivoluzione epocale?

Sistemi che parlano tra loro a velocità elevate, in modo transazionale, portando direttamente il patrimonio di informazioni dell’uno verso l’altro non è un modo radicalmente diverso di approcciare la realtà complessa ed articolata della supply chain?

Le best practice di EDI, iniziate negli anni Novanta con le prime filiere automotive e grande distribuzione, sono quelle che hanno cambiato il mercato di questi settori, razionalizzandone i costi e gli investimenti, i magazzini, gli incassi e i pagamenti, gli approvvigionamenti e ovviamente incrementando il profitto derivante da maggiore efficienza e competitività.

L’EDI, con una trentennale esperienza, ha implementato nei suoi cicli tutta una serie di documenti, fondamentali per gli obiettivi citati, di cui la fattura rappresenta la punta dell’iceberg. A questa vengono infatti affiancati l’ordine, la relativa conferma, il documento di trasporto, i piani di consegna, l’avviso di spedizione e alcuni altri documenti complementari che, scambiati ed elaborati direttamente dai sistemi informativi, hanno innescato processi virtuosi all’interno dell’organizzazione aziendale e all’esterno, verso l’intera catena dei trading partner.

Ad oggi possiamo dire che le aziende partite con la filiera EDI si trovano in una condizione di vantaggio competitivo non indifferente, rispetto alle aziende italiane e straniere che ancora adottano processi tradizionali con documenti analogici. L’introduzione della fattura obbligatoria, prima verso la PA e ora tra privati, ha cominciato a divulgare la conoscenza e quindi l’efficienza nell’ambito di molte altre aziende, seppure ancora in maniera limitata.

Non sfugge a nessuno che l’intento di Agenzia delle Entrate e Sistema di Interscambio sia di carattere prettamente fiscale e volto principalmente alla lotta alla evasione (del resto l’Agenzia lo ha sempre dichiarato senza alcun problema) e che, per raggiungerlo, si sia focalizzata tutta l’attenzione sul solo documento fattura, la cui dematerializzazione non rappresenta ancora un reale valore aggiunto per il Sistema Paese; ma è altrettanto vero che da qualcosa bisognava pur partire per comprendere i processi digitali, farli propri e, per tornare alla similitudine con le strip di Bonvi, far entrare nel proprio campo “semplici conoscenti” che possono davvero trasformarsi presto in amici.

Iniziare infatti ad usare dati strutturati, quali quelli richiesti dal formato XML obbligatorio delle fatture PA, B2B e B2C, per migliorare il processo di invio, ma soprattutto quello di ricezione e gestione dei dati contabili è un buon inizio per apprezzare le agevolazioni e i vantaggi del digitale e, per preparare i propri sistemi ad un allargamento complessivo della catena.

Se io infatti riesco a produrre ordini, ottenere conferme degli stessi, inviare le merci con documenti di trasporto e fatturare con processi tesi a coinvolgere un numero minimo di risorse, ma, nel contempo, riesco a gestire automaticamente una gran mole di dati derivati dai trading partner del processo di supply chain, avrò reso la mia azienda, insieme alle altre, molto più rapida, meno costosa, più agile e quindi notevolmente competitiva sul mercato.

Laddove sia un’intera filiera ad automatizzare i propri processi gestionali, è un intero sistema che si rafforza e laddove lo diventi l’intero Paese è una nazione che cambia il modo di stare sul mercato.

Non per nulla l’UE, attraverso prima gli access point Peppol e ora attraverso il Core Invoice (ossia il formato strutturato unico della fattura nei paesi UE) ha pensato ad una crescita dei processi digitalizzati nell’intera Unione, al fine di renderla in grado di affrontare al meglio le sfide commerciali con le altri grandi potenze mondiali.

L’affiancamento della conservazione digitale e sostitutiva ai dati strutturati, incrementa ulteriormente il valore aggiunto delle soluzioni di dematerializzazione, consentendo di gestire nel tempo i dati senza ricorrere mai ad una loro produzione fisica che è un elemento di costo importante sia per le operazioni di stoccaggio che per quelle di ricerca e consultazione.

La best practice di un’azienda moderna ed efficiente dovrebbe quindi essere basata esclusivamente su dati digitali prodotti alla fonte, scambiati in formato strutturato concordato con il resto della filiera e conservati in formato digitale, con gestori documentali e workflow di processo in grado di utilizzare i dati per tutta una serie di attività oggi demandati alla mera manualità (es. riconciliazioni, reportistiche, modelli previsivi, approvazioni e modelli collaborativi tra funzioni aziendali).

Se il modello virtuoso deve partire, come spesso capita, da modelli consolidati e spesso cristallizzati, da obblighi imposti dalla normativa, ben vengano tali situazioni mandatorie, purché ovviamente gestite, nei tempi e nei modi, con la dovuta intelligenza organizzativa.

Per concludere, se io fossi il soldatino di guardia di cui all’inizio, i semplici conoscenti che si presentano al campo, li farei entrare, senza troppe remore, e condividerei subito con loro una fresken birren.

Questo articolo è parte della rivista scientifica KnowIT (uscita 07/2018) rivolta ai manager della governance digitale e della privacy. “2018 Loading…” KnowIT, Anno 3 N. 2 – Luglio 2018

 


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