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12.01.2022
| Tempo di lettura: 5 min

Fashion, il futuro è nel “Clothing as a service”

12 Gennaio 2022

Cos’è e come prepararsi a questo nuovo modello di business

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Dopo le piattaforme di streaming e i servizi della sharing economy, anche il mondo della moda è destinato a diventare un servizio su abbonamento. Un cambiamento dettato dalla Gen Z, sempre più attenta alla sostenibilità.

Cosa troverai in questo articolo:

Attenzione alla qualità e alla sostenibilità, preferenza per l’usato e per i capi provenienti da sistemi di economia circolare. È ormai chiaro che le abitudini di acquisto della Gen Z sono destinate a rivoluzionare il mercato del fashion*, ma sarebbe un errore pensare che tale cambiamento coinvolgerà solo i prodotti. L’attenzione all’ambiente che caratterizza questa generazione, infatti, impone anche nuovi modelli di business e nuove modalità di acquisto. O di servizio.

Ebbene sì: dopo film, musica, arredamento e mobili, anche i capi d’abbigliamento sono destinati a diventare un servizio a cui ci si può abbonare. Parliamo del “Clothing as a service”.

Cos’è il “Clothing as a Service” (CaaS)

Grazie a un abbonamento a un servizio di streaming musicale possiamo avere a disposizione, pagando una quota mensile, centinaia di film e serie tv su un numero limitato di dispositivi, anche le uscite più recenti. Il Clothing as a Service (o “Fashion as a Service”) applica lo stesso principio nell’ambito della moda prêt-à-porter: pagare un abbonamento per un numero limitato di capi, che è possibile restituire e cambiare a seconda dei nuovi trend o delle necessità individuali.

I brand stessi passeranno così dall’essere fornitori di prodotti ad essere fornitori di un servizio. Una differenziazione fondamentale, che prevede però una revisione dell’infrastruttura logistica e tecnologica.

CaaS, riconoscimento e digital transaction

Innanzitutto, la sottoscrizione di un servizio richiede un diverso tipo di transazione rispetto alla semplice transazione economica che avviene con l’acquisto di un capo in negozio: la sottoscrizione di un accordo, di un contratto, ma soprattutto – proprio per la natura digitale del CaaS – di un riconoscimento remoto del cliente.

Anche il fashion, che da sempre vede il suo principale touch-point con i clienti nel negozio fisico, dovrà quindi avvicinarsi al mondo dell’interazione e gestione documentale digitale, seguendo la strada già tracciata dai servizi finanziari, energy & utilities e telco verso una digital customer experience semplice ma in linea con i valori del brand e delle nuove generazioni: proprio a questo scopo Intesa ha da poco presentato la piattaforma di Digital Transaction Management Intesa Sign.

CaaS, come cambia la logistica

A supporto di una logistica capillare, il modello del Clothing as a Service prevede che i negozi fisici assumano anche la funzione di hub per lo smistamento e la raccolta dei capi restituiti. Proprio da qui, infatti, potranno partire le spedizioni dell’ultimo miglio.

Per questo motivo, le giacenze e la disponibilità dei magazzini dovranno essere non solo aggiornate in modo puntuale e preciso, ma anche integrate e condivise con il cliente tramite piattaforma. 

L’integrazione dei dati, la visibilità real-time dei prodotti disponibili e una gestione efficiente dell’ultimo miglio costituiscono la base per l’infrastruttura logistica del Clothing as a Service.

Grazie a questo modello, inoltre, sarà anche possibile avere anche un maggior controllo sullo smaltimento e il riciclo dei capi d’abbigliamento non più utilizzabili, a beneficio dell’ambiente e della circular economy, obiettivo dell’Unione Europea.

* Fonte: Vogue Business, Gen Z shopping trends uncovered

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