(Ri)Pensare in digitale i processi bancari: Banco BPM si trasforma
È possibile creare nuove soluzioni e servizi di business mantenendo un’elevata compliance normativa? Come si stanno muovendo le banche italiane e qual è il ruolo dei legal?
Il digitale risulta essere pervasivo in settori e mercati d’ogni genere, anche e soprattutto in quello bancario. Le Banche da diverso tempo hanno colto il grande valore che esso può apportare ai loro servizi ed hanno compreso che il business può evolvere e trarre vantaggi tangibili sia internamente che esternamente. I benefici, infatti, non riguardano solo i servizi rivolti alla clientela ma anche aspetti pratici: il digitale, ad esempio, non inganna in quanto non prevede errori umani, riduce il rischio operativo e consente di tracciare tutti gli stati e le fasi di avanzamento; questi ovviamente sono solo alcuni principali benefici. La digitalizzazione dei servizi prevede una razionalizzazione dei processi in una nuova ottica: meno uso di carta, metodi più smart e veloci, con automatismi ben definiti e monitorabili.
Le banche da tempo hanno avviato progetti interni di trasformazione digitale, secondo quanto riportato nel rapporto Abi Lab 2019 : il 100% delle banche aumenterà gli investimenti in dematerializzazione nel 2019, il digital engagement e l’open banking sono la direzione del cambiamento. L’obiettivo è quello di ripensare i processi bancari in una nuova ottica, partendo da ciò che oggi funziona bene, ad esempio il mobile e l’online, per arrivare a trasformare anche le filiali e quindi migliorare l’intero customer journey. A tal proposito, abbiamo chiesto a Massimiliano Lovati, Responsabile Consulenza Legale di Banco BPM, come la Banca sta approcciando questo momento storico di evoluzione nella corsa ad un modello di business senza carta.
Banco BPM ha avviato un percorso di trasformazione digitale. Qual è l’impatto per il suo business?
Abbiamo tracciato una rotta e intrapreso un viaggio; si tratta di una strada di non ritorno, che intendiamo percorrere con convinzione. Sarà un percorso con impatti sul business e sulle modalità con cui lo facciamo. Il progetto di trasformazione digitale di Banco BPM è articolato in quattro direzioni:
- I processi ed i modelli di business, ovvero quello che è più immediatamente percepibile per i clienti perché lo riscontrano nella loro attività diretta e quotidiana. Dobbiamo fugare i timori di un potenziale “analfabetismo digitale”. Il livello di accettazione dello strumento digitale è, in base alle nostre evidenze, molto alto e sostanzialmente atteso.
- I fattori abilitanti per i processi e per un customer journey positivo. Spesso si tende a costruire processi di vendita digitali bellissimi ma poi la parte di gestione amministrativa continua ad essere gestita “a vacchio”; così facendo non c’è la possibilità di controllare in tempo reale quello che avviene e consentire il “time to market”. Il nostro obiettivo è quello di realizzare gradualmente nel tempo processi interamente digitali che consentano di avere il controllo in tempo reale degli stati di lavorazione e l’indicazione puntuale delle aree di responsabilità. Ciò consentirà anche di migliorare la gestione del rischio operativo e, in ultima analisi, la gestione della risorsa più scarsa: il capitale.
- Il “mondo dei dati” (data mapping, data quality, AI, ecc.). La migliore gestione dell’enorme quantità di dati a nostra disposizione può consentire, nel rispetto delle normative esistenti, una proposta commerciale più mirata alla clientela e abilitare decisioni strategiche tempestive.
- ll cambiamento culturale, che credo sia la parte più importante. La formazione del personale, che deve imparare a “pensare in digitale” e abbandonare schemi consolidati anche di successo, non è semplice e banale. Come prime tappe del viaggio, ci aspettiamo una sforbiciata sostanziale alla carta e di riuscire a fare sistema, anche contaminandoci, con i partners che ci aiuteranno e ci sosterranno in questo cammino.
Con quali strumenti state attuando il percorso di trasformazione digitale?
La prima cosa a cui pensare sono gli strumenti abilitatori, quali la cultura digitale e la voglia di fare, ma, in un’ottica più concreta, il documento digitale, la conservazione a norma e i set di firma che consento alle persone di interagire in modalità completamente digitale anche all’interno dell’azienda.
Il ruolo di partners fidati ed in particolare degli erogatori dei servizi di firma, come Intesa (Gruppo IBM), è fondamentale perché permette di disporre di strumenti innovativi di buona usabilità a tutti i contesti, fisici e digitali.
Il nostro attuale obiettivo è quello di sfruttare quanto più possibile questi abilitatori in Banca; in primis la firma grafometrica e la firma digitale da remoto, le quali diventeranno sempre più importanti nella nostra prospettiva in quanto sono sostanzialmente delle tecnologia di passaggio che hanno il merito di avvicinare le persone al digitale. Sono strumenti già presenti ma che desideriamo estendere a tutta la clientela: alcune scelte di fondo sono già state effettuate e, pertanto, siamo in dirittura d’arrivo su queste tematiche.
Ripensando i processi bancari in digitale, quale ruolo assume la compliance normativa?
Il mondo bancario e finanziario è caratterizzato da un livello di regolamentazione molto elevato sia sotto il profilo della governance che dei prodotti/servizi. Il susseguirsi di un elevato numero di provvedimenti normativi e di best practices, richieste dalle varie Authorities di controllo, incide profondamente sulla nostra attività.
La sfida è trovare nei progetti di compliance anche opportunità di business o di miglioramento di ciò che si sta già facendo. Per tale motivo è necessario un continuo dialogo tra le diverse aree aziendali: le richieste di intervento da parte di compliance e audit devono essere colte come opportunità. Chi si occupa di business non può non conoscere i requisiti normativi della propria attività: trasparenza, forma scritta dei contratti a pena di nullità non sono temi di forma ma di sostanza: l’inosservanza delle prescrizioni può avere conseguenze molto negative sia sotto il profilo sanzionatorio che reputazionale.
Il mio suggerimento è quello di coinvolgere sin dalle fasi di ideazione dei nuovi progetti le figure Legal e Compliance per effettuare un’analisi completa. In questo modo tutti gli attori possono comprendere i reciproci bisogni e si possono sviluppare moltissime soluzioni in linea con la normativa vigente. In questo modo molti progetti a cui ho preso parte hanno raggiunto gli obiettivi prefissati; altri progetti, si sono arenati perché la richiesta non poteva essere agita oppure i requisiti di compliance non erano stati previsti fin dall’inizio e quindi la loro implementazione non era compatibile con budget a disposizione e tempi di mercato.
La figura del Legal è spesso indicata come un elemento che rallenta lo sviluppo di progetti innovativi; è vera questa affermazione?
Dipende unicamente dalle persone e da come le stesse interpretano il proprio ruolo: il legale non è una funzione di controllo ma un’unità che, nel rispetto della normativa, cerca di far lavorare al meglio i colleghi del business.
È molto facile dire “non si può fare” ma mi è capitato molto raramente nel corso della mia vita lavorativa. Serve, in prima battuta, una grande disponibilità all’ascolto in un contesto in profonda mutazione. Oggi il mondo è fluido, liquido, multiculturale e multimediale e la tecnologia è diventata parte integrante delle nostre vite quotidiane.
Anche i legali devono evolvere: nel campo del diritto stiamo assistendo ad un’evoluzione inesorabile del concetto di documento e di forma scritta in modo da accogliere ex lege nuove forme di manifestazione del consenso sviluppate con video, audio, percorsi digitali su siti web o app.
Il suggerimento che Intesa (Gruppo IBM) dà è quello di creare dei gruppi interdisciplinari per l’approccio ai progetti di digital transformation; sfruttando logiche di co-creation e metodologie Agile. Ci si trova per dialogare di obiettivi: il business fornisce delle indicazioni, la parte tecnica capisce come implementare la nuova soluzione messa sul tavolo e coinvolgendo già il legale e altri interlocutori, spesso non considerati in questa fase. Così facendo si dà la possibilità di capire fin dall’inizio quali potrebbero essere i vinicoli, approcciando a tempo debito gli eventuali ostacoli.
Bisogna conoscere la contaminazione tra la parte tecnologica, la normativa e la parte tecnico/operativa, così facendo ci si arricchisce l’un l’altro. È importante non tentare di normare la tecnologia, bensì normare il contesto e l’ambito applicativo del servizio o della soluzione. Non è lo strumento utilizzato che crea ostacoli, è come ci si pone dinanzi ad un problema; lo strumento è sempre neutro, è l’utilizzo della normativa che fa la differenza.